Maestro del Trionfo di Alfonso, “Il trionfo di Alfonso d’Aragona”.
Napoli, collezione privata.
La tavola, probabilmente parte di un cassone nuziale, ci mostra con ricchezza di dettagli lo svolgimento della cerimonia organizzata per l’ingresso trionfale in città del Magnanimo il 26 Febbraio 1443.
I particolari del suo svolgimento, che trovano precisa corrispondenza in questa immagine, ci sono noti grazie alla descrizione di Antonio Beccadelli “il Panormita”, umanista di corte e ambasciatore del Rey:
Ci fu una sfilata organizzata dai Fiorentini, in cui il corteo era preceduto da una cavalcata di giovinetti (ben visibili nel dipinto) seguiti da carri allegorici.
Prima la Fortuna, seguita da sette Virtù a cavallo: la Speranza con la corona, la Fede col calice, la Carità con un bambino nudo, la Fortezza con una colonna di marmo in mano, la Temperanza che mesceva acqua e vino, la Prudenza con lo specchio e il serpente e infine la Giustizia, sotto un baldacchino. Seguiva un carro con Cesare posto su di un globo, armato e coronato d’alloro il quale fece un discorso in cui esortava il Re a seguir sempre le virtù, come aveva fatto fino ad allora, e a non fidarsi della Fortuna.
A seguire c’erano le rappresentazioni organizzate dai Catalani: una lotta tra spagnuoli e arabi; una torre, il cui ingresso era custodito da un angelo e sulla quale erano la Magnificenza, la Costanza, la Clemenza, la Liberalità. Anche in questo caso l’Angelo e le Virtù rivolsero dei versi al Sovrano.
I versi pronunciati da Cesare, composti da Piero de’ Ricci, sono stati individuati da Benedetto Croce, che li ha pubblicati – insieme alla descrizione del trionfo – in “I Teatri di Napoli, Secolo XV – XVIII”, 1891:
Eccelso Re, o Cesare novello,
Giustizia con Fortezza e Temperanza,
Prudentia, Fede, Carità e Speranza,
ti farà trionfar sopr’ogni bello.
Se queste donne terrai in tu’ostello,
quella sedia fia fatta per tua stanza;
ma, ricordasi a te, tu sarai sanza,
se di Giustizia torcessi ‘l suggello.
E la Ventura, che ti porge il crino,
no ti dar tutto a lei, ch’ell’è fallace,
che me, che trionfai, misse in dechino.
El mondo vedi che mutazion face!
Che sia voltabil, tienlo per destino:
e questo vuole Iddio perché li piace.
Alfonso, Re di pace,
Iddio t’esalti e dia prosperitate,
salvando al mio Firenze libertate.