Nel cuore della Napoli antica, affacciato all’angolo tra il Decumano inferiore (Via Benedetto Croce) e Piazza San Domenico Maggiore, sorge il palazzo dove il Segretario Antonello Petrucci trascorse i suoi anni di gloria al servizio di Re Ferrante (mappa).
Il palazzo, eretto sul finire del ‘300, era stato la dimora di Bertrando del Balzo, Conte di Andria, e Beatrice d’Angiò, figlia del Re Carlo II e fu acquisito dal Petrucci, insieme ad altri edifici che occupavano l’intera insula ad occidente della chiesa di S. Domenico Maggiore, intorno al 1460.
Da pochi anni l’area antistante l’abside dell’attigua chiesa era stata trasformata in un’ampio slargo, sul quale era stato trasferito l’ingresso della chiesa al quale si poteva accedere tramite una scala monumentale necessaria a superare il dislivello di circa 7 metri tra il Decumano e il piano della navata.
Il Petrucci – dopo aver unito i diversi corpi di fabbrica – aveva approfittato dell’importanza acquisita dal nuovo spazio per trasferirvi l’ingresso dell’edificio, trasformando in facciata principale del palazzo l’ampia cortina che chiudeva il lato occidentale della piazza. Le finestre attuali sono tutti rifacimenti e aperture successive, in sostituzione di quelle originarie in stile gotico.
Il nuovo ingresso, la cui posizione era condizionata dalla presenza della scalone addossato alla facciata per quasi metà della sua lunghezza, fu aperto intorno al 1470 tramite un portale in marmo.
Il portale in ordine Ionico fu realizzato probabilmente da Aniello Fiore, sul modello di quello di Palazzo Carafa – di qualche anno anteriore – che a sua volta seguiva i canoni recentemente indicati da Leon Battista Alberti nel “De re aedificatoria”: in particolare l’elemento di spicco è l’architrave pulvinato, sorretta da mensoloni laterali, impreziosito da foglie di quercia e di acanto intrecciate; la novità introdotta dal portale Carafa rispetto al canone albertiano è la presenza di un elemento decorativo superiore nel quale trovano posto le insegne araldiche del committente.
Nel portale di Palazzo Petrucci, invece, la fascia in marmo che sovrasta l’architrave risulta liscia: è probabile che gli stemmi dei Petrucci siano stati rimossi dopo la condanna a morte del Segretario e la relativa confisca dei beni…
Originariamente non esistevano le finestre che attualmente si aprono sulla scala della chiesa: per illuminare il salone nobile che occupava quel lato dell’edificio fu necessario aprirne di nuove dal lato del cortile interno. Per consentire un accesso diretto al salone, il Petrucci donò ai domenicani il portale di ingresso alla navata in cima alla scala, ottenendone in cambio la possibilità di aprire sul ballatoio una porta (oggi se ne vede solo la cornice in piperno) che conduceva direttamente alla sala: in questo modo riuscì a sfruttare la scenografia offerta dallo scalone per offrire ai suoi ospiti un ingresso monumentale che ricordava quello alla Sala dei Baroni in Castel Nuovo!
Come se non bastasse il nuovo ingresso della chiesa era attiguo ad una cappella sulla navata laterale – in quello che era l’originale nucleo della Chiesa di S.Michele Arcangelo a Morfisa – di cui il Petrucci ottenne i diritti, trasformandola così quasi in una cappella privata (oggi è la Cappella Bonito, in cui è ancora visibile il polittico commissionato dallo stesso Petrucci al pittore Angiolillo Arcuccio), con accesso diretto alla sua dimora: di certo non poteva prevedere che quella cappella, dopo pochi anni, avrebbe accolto il suo corpo e la sua testa separati dalla mannaia…
Pingback:Ascesa e rovina del Segretario Petrucci