Come noto, il regno di Alfonso II fu particolarmente breve, travolto dagli eventi che scossero la penisola durante la discesa di Carlo VIII: perso l’appoggio dei nobili e senza la fiducia dei sudditi, Alfonso preferì abdicare in favore del figlio Ferrandino che riscuoteva sicuramente più consensi del padre al quale veniva rimproverata la condotta estremamente autoritaria, e spesso apertamente violenta, quando era Duca di Calabria.
In queste circostanze, la necessità di battere moneta dovette essere sicuramente una delle ultime preoccupazioni del sovrano! Infatti la varietà di emissioni è particolarmente scarsa e l’iconografia non presenta elementi di novità, se si esclude l’immagine del “trono in fiamme” presente su alcuni mezzi carlini.
Sicuramente l’attenzione del sovrano si concentrò sulla emissione di monete di bassa lega, adoperando i vecchi conii, che – grazie alla riduzione del tenore in argento rispetto al contenuto nominale – garantivano alle casse del regno gli introiti necessari a supportare le spese per la difesa contro i Francesi.
Non stupisce, quindi, che gli unici coronati battuti durante il suo regno, a partire presumibilmente dall’incoronazione del Maggio 1494, non spicchino per originalità: al diritto – infatti – riportano la medesima scena dell’incoronazione che contraddistingueva i primi coronati di Ferdinando I, mentre al rovescio è presente l’effige di San Michele Arcangelo che trafigge il drago, che si era già vista nei Coronati dell’Angelo.
L’epigrafe che circonda la scena dell’incoronazione riporta “CORONAVIT ET UNXIT ME MANUS TUA DOMINE”, mentre intorno all’arcangelo troviamo “ALFONSUS II DEI GRATIA REX SICILIAE IERUSALEM UNGHERIAE”.
La sigla del Mastro Zecchiere (T per Tramontano) può essere presente su entrambi i lati, variamente associata ad una F e/o ad una rosetta.
Mentre non sono riportate varietà differenti per le immagini, il testo – come sempre – si presenta abbreviato e punteggiato in diversi modi nei differenti conii: il Pannuti-Riccio classifica 5 varanti principali, distinte in base alla sigla dello zecchiere, mentre il Corpus Nummorum Italicorum elenca almeno 75 varianti in base alla diversa abbreviazione e alla punteggiatura delle epigrafi.
Originalità a parte, si tratta comunque di una moneta molto bella: l’esemplare nella mia collezione (visibile in alto, ma l’originale ha un bellissimo fondo, quasi a specchio, che non è possibile catturare in foto) è la variante meno rara, con la sigla dello zecchiere a sinistra dell’arcangelo.
Naturalmente anche il peso (4 gr in media) e il diametro (tra 25 e 28 mm) rispecchiano quelli dei coronati di Ferrante, rispetto ai quali erano rimasti inalterati anche il tenore in argento (almeno in teoria) e il valore, corrispondente a 1/10 del Ducato d’oro.
Per quanto attiene alla reale capacità di acquisto di queste monete, grazie anche ad alcune informazioni provenienti dai documenti della Cancelleria Aragonese, si deduce che lo stipendio di un funzionario del regno o il mantenimento (vitto e alloggio) di un artigiano di fama impegnato in una committenza reale potevano variare tra gli 80 e i 160 coronati al mese, mentre per la fattura vera e propria delle opere d’arte (incluse le spese per i materiali) si andava dagli 8 coronati per una pagina miniata fino agli 800 coronati per una pala d’altare.