Il “cavallo” in questione (anche conosciuto come cavalluzzo, cavallirazzo o callo) è la moneta di rame emessa da Ferdinando I nell’Aprile del 1472, in sostituzione dei “denari” e dei “tornesi” – le monete più comunemente uste nel regno per i piccoli commerci – che avevano nel tempo perso il loro valore a causa delle falsificazioni e della progressiva riduzione della quantità di argento adoperato nella lega.
Dietro consiglio del Duca Orsini, nel Febbraio del 1472 il Sovrano dette ordine alla Regia Camera della Sommaria di far coniare una nuova moneta in lega di rame, così che non risultasse più conveniente falsificarla, e l’emissione iniziò nel mese di Aprile dello stesso anno.
Con questa decisione si riducevano i guadagni anche per le casse della Regia Curia, tuttavia si rendeva un grande servigio al popolo che di tale moneta faceva largo uso.
Per tale motivo, su suggerimento del Conte di Maddaloni Diomede Carafa, fu stabilito di apporre sul recto della moneta, intorno all’effige di un cavallo, la legenda “EQUITAS REGNI” realizzando un gioco di parole tra “Aequitas” (equità, equilibrio) e “Equus” (cavallo).
A tal proposito segnaliamo come non sia affatto un caso che appena pochi mesi prima il Conte Carafa aveva ricevuto in dono da Lorenzo dei Medici una testa di cavallo in bronzo realizzata da Donatello, parte incompiuta di un monumento equestre dedicato ad Alfonso il Magnanimo e quasi sicuramente destinato ad ornare l’Arco di Trionfo in Castel Nuovo. La copia in terracotta della splendida scultura, recentemente restaurata, è ancora oggi visibile nel cortile di Palazzo Carafa in Via San Biagio dei Librai.
Sul verso vi era la testa coronata del sovrano e la scritta “FERRANDUS REX”, ma le varianti conosciute – corrispondenti ad almeno 4 emissioni distinte – sono molte (il Corpus Nummorum Italicorum ne riporta oltre 500!), sia per quanto riguarda le immagini che le scritte (Fernandus e Ferdinandus, Regis, Regni Sici, etc…): queste monete infatti furono coniate per un lungo lasso di tempo nelle zecche di Napoli, l’Aquila, Brindisi, Amatrice, Capua, Tagliacozzo e Sulmona, e riportano quasi sempre nell’esergo una lettera identificativa del Mastro Zecchiere (Tramontano, Spinelli, Iacopo Cotrullo…).
Se ne conoscono anche rarissimi esemplari con la testa della regina o con una quadriga al posto del cavallo, probabilmente coniate in piccola quantità per occasioni particolari.
Le dimensioni variano dai 17 ai 22 mm, mentre il peso era di 1,80gr (si conoscono esemplari da 2 gr). Esistevano anche versioni del valore nominale di due, quattro e sei cavalli, ovviamente di peso proporzionalmente maggiore.
L’incisione dei conii si deve all’orefice Girolamo Liparolo, fratello minore di Francesco che era stato il coniatore durante il regno di Alfonso I.
Anche Carlo VIII emise dei cavalli durante il suo breve periodo di dominazione nel regno. Successivamente, Ferdinando II coniò pochi cavalli (più che altro facendo ribattere quelli con il conio di Carlo VII) mentre Federico, poichè la quantità di rame circolante e di dubbia provenienza era diventata eccessiva, decise di bandire prima le monete coniate da Carlo VIII e poi tutti i cavalli circolanti nel regno, provvedendo ad una nuova emissione di monete in rame dal valore raddoppiato e denominate “sestini”.
Il valore del cavallo originario infatti era pari a 1/12 del grano d’argento, ovvero l’equivalente di un Denaro o di 1/2 Tornese. Circa l’effettivo potere d’acquisto, è molto difficile stabilire oggi il reale valore della valuta dell’epoca; tuttavia, sia pur grossolanamente, sulla base di alcuni documenti ho calcolato che sul finire del secolo con un cavallo era possibile acquistare circa 5kg di frumento.
Nell’immagine superiore uno degli esemplari in mio possesso, del diametro di 19mm, riporta al diritto la scritta FERRANDVS °°°° REX e al verso (che risulta ruotato di circa 41°) la scritta EQVITAS ° RE ° ° GNI con la T (di Giancarlo Tramontano) tra due rosette all’esergo e una rosetta sopra la groppa del cavallo, che ha la zampa sinistra alzata. Purtroppo non ho strumenti precisi per misurarne il peso, che si aggira sui 2gr.
Non sono riuscito a trovare alcun tipo con queste caratteristiche nel Corpus Nummorum Italicorum, che dovrebbe corrispondere al 53c della classificazione di Pannuti-Riccio.
In ogni caso, la sigla dello zecchiere Tramontano ne consente la datazione tra il 1488 e il 1494, mentre la zecca dovrebbe essere quella di Napoli.
Nella foto in basso, invece, c’è una variante coniata nella zecca dell’Aquila (notare il simbolo dell’aquiletta di fronte alla zampa alzata del cavallo) con FERDINANDUS al retto e l’errore RENGNI al verso. Le epigrafi e la loro posizione fanno presumere che questo esemplare sia stato coniato prima della ribellione della città del 1485.
Pingback:I Carlini di Alfonso il Magnifico
Pingback:I denari di Alfonso il Magnanimo
Pingback:I Sestini di Federico III d’Aragona
Pingback:I Tornesi di guerra di Ferrante – Napoli aragonese
Pingback:I grani di Federico III d’Aragona – Napoli aragonese