Sebbene Federico III abbia regnato per pochi anni, fu particolarmente attivo nella monetazione: subito dopo l’incoronazione, nel 1496, emanò delle direttive per limitare la circolazione delle monete di bassa lega che erano diventate un vero e proprio flagello già nel periodo dell’invasione di Carlo VIII.
In particolare, dopo aver provato a svalutare del 50% il valore dei cavalli in rame (stabilendone il cambio all’equivalente di 1/12 di Tornese), a seguito delle proteste decise di far coniare delle nuove monete in rame con un peso leggermente superiore a quello dei cavalli di Ferdinando I, mantenendone però intatto il valore pari a 1/6 di Tornese. Per comodità di commercio furono coniati anche doppi sestini, chiamati “grani”, del valore legale corrispondente a un denaro.
Il sestino, dunque, aveva un diametro di circa 22mm e un peso nominale di 2gr (ma se ne trovano fino a 2,87gr!); sul diritto portava, come di consueto, il profilo coronato del Re (caratterizzato da capelli visibilmente più lunghi rispetto ai predecessori) e al rovescio al croce potenziata; entrambe le figure erano inscritti in un cerchio che poteva avere un bordo liscio o perlinato.
L’epigrafe al diritto recitava “FEDERICUS DEI GRATIA REX SICILIAE HIERUSALEM” mentre al rovescio “SIT NOMEN DOMINI BENEDICTUM”. Come sempre, le varianti nella abbreviazione delle epigrafi erano numerose e il Corpus Nummorum Italicorum ne riporta 27; il Pannuti-Riccio, normalmente più sintetico, distingue solo due varianti in base al ritratto del sovrano.
Nella moneta della mia collezione, sebbene il bordo sia piuttosto sciupato, si legge chiaramente “FEDERICUS ° D ° G ° R ° SI” al diritto e “+ SIT : NOMEN : DNI : BENEDIT” al rovescio: dovrebbe corrispondere alla variante 101 del CNI e alla 11 del P/R.
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