Diomede Carafa nacque a Napoli nei primi anni del ‘400, sestogenito di una famiglia di antiche e nobili origini discendente dai Caracciolo: l’appellativo di “carafa” sarebbe stato acquisito dall’avo Tommaso nel XIII secolo in quanto il padre, Gregorio Caracciolo, era incaricato della riscossione della gabella dei vini (“campione della caraffa”); anche per questo motivo il ramo a cui apparteneva Diomede era denominato “della stadera” e sfoggiava sul blasone di famiglia (di rosso alle tre fasce d’argento) l’immagine di una bilancia.
Suo padre Antonio, detto “il Malizia” per le sue abili doti diplomatiche, era stato l’artefice degli accordi intercorsi tra la Regina Giovanna e Alfonso V, quando costui – nel 1420 – fu chiamato in aiuto della Regina contro le mire di Luigi d’Angiò, con la promessa di avere in dono la proprietà di Castel dell’Ovo, la nomina a Duca di Calabria e addirittura della affiliazione alla sovrana, il che in pratica era una promessa di successione al trono di Napoli…
Fu durante la prima permanenza a Napoli, prima che i rapporti con la Regina Giovanna si guastassero per le paure di costei che l’aragonese volesse impadronirsi da subito del regno, che Alfonso accettò di prendere Diomede – ancora adolescente – al suo servizio.
Nel 1423 Alfonso fu costretto a rientrare in patria per soccorrere il fratello Enrico, imprigionato dal Re di Castiglia poiché ne aveva sposato la sorella senza il suo consenso, e Diomede partì con il suo signore. Nei dieci anni successivi l’Aragonese fu impegnato nelle vicende in patria, ma nel 1432 ritornò a Napoli – facendo base a Ischia – per risolvere definitivamente la questione della successione al regno che – come noto – dopo la morte sia di Giovanna che del pretendente Luigi d’Angiò, e l’arrivo del nuovo re Renato nel 1439, si concluse con l’assedio e la conquista della città nel 1442.
Poco si sa della sorte di Diomede durante gli anni vissuti in Spagna. Di sicuro egli dovette farsi notare presso la corte di Alfonso, se è vero che già intorno al 1439 gli fu affidato il giovane Ferdinando. Nel decennio precedente la conquista di Napoli il mecenatismo era già un tratto predominante di Alfonso, e fu in quel periodo che Diomede ebbe l’opportunità di conoscere e frequentare personaggi del calibro di Antonio Beccadelli “il Panormita” (fondatore dell’Accademia nota oggi come Pontaniana), di Bartolommeo Facio e Lorenzo Valla: fu così che si affinò in lui l’amore per la letteratura e l’arte che riuscì a coltivare nel tempo nonostante i numerosi impegni politico-diplomatici.
Di sicuro si sa che il Carafa ebbe modo di distinguersi proprio durante la conquista della capitale, quando fu messo a capo di una delle due squadre che entrarono in città attraverso l’acquedotto. Sembra che fosse proprio lui, nonostante fosse ferito ad una gamba, a guidare il manipolo che riuscì a contrastare il tentativo di riconquista di Re Renato di una delle torri a guardia della porta di S.Sofia – punto strategico per la presa della città – e a piantarvi la bandiera aragonese fino all’arrivo dei rinforzi.
Ancora di lui si conoscono le imprese durante la guerra contro Firenze, a cui partecipò al seguito di Ferdinando nel Ottobre del 1452, guidando 300 cavalieri e 500 fanti.
Per la sua fedeltà al Re – dunque – acquisì grande autorevolezza presso la corte, tanto che ebbe l’incarico di Conservatore Generale del Patrimonio Regio, dovendo sovraintendere all’entrate ed alle spese del Duca di Calabria.
Anche sotto il regno di Ferrante ebbe da subito incarichi importanti, quale quello di occuparsi dell’educazione del principe Alfonso e delle sorelle Eleonora e Beatrice.
Nel 1458 fu nominato castellano di Castel Capuano e gli furono concessi i diritti sulla riscossione della tassa generale delle collette del sale e altri diritti sulle numerose terre e possedimenti che gli erano stati concessi dal sovrano.
Nel 1459, in occasione dell’incoronazione di Ferdinando a Barletta, fu nominato Cavaliere e successivamente insignito dell’Ordine dell’Ermellino.
Troppo numerose per poter essere citate sono le concessioni e i benefici economici che risultano a favore del Carafa sotto il regno di Ferrante: ricordiamo solo che il Sovrano nel 1463 accordò al Carafa una rendita di 1000 scudi l’anno (tra i 500.000 e gli 800.000 euro attuali) e che nel 1465 gli concesse il titolo di Conte di Maddaloni; ma, se già numerose erano le terre e i castelli sui quali poteva esercitare la sua autorità in quel momento, ancora altre ne acquisì negli anni successivi, e in particolare dopo il 1480 a seguito delle confische a danno dei Baroni ribelli.
Secondo quanto riferisce il De Pietri, Re Ferrante aveva donato al Carafa un’intera contrada, adiacente alla Duchesca ed estesa dalla Chiesa di S.Pietro ad Aram fino alla Basilica del Carmine, e che per questo motivo era denominata “Orto del Conte”, che – dopo l’estensione delle mura del 1484 – venne a trovarsi quasi interamente inscritta nella cerchia urbana e vide pian piano gli orti sostituiti dai palazzi: un vero e proprio esempio di lottizzazione urbana ante litteram a favore dei “soliti noti”!
A dire il vero, tuttavia, di tali proprietà non si fa menzione nel dettagliato testamento di Diomede, né ci sono giunti gli atti che attesterebbero la donazione del Re, a differenza della copiosa documentazione relativa alle altre concessioni, regalie e vendite fatte da Ferrante al suo amico e consigliere.
A sua volta, però, in numerose occasioni il Carafa sostenne finanziariamente il suo Re, soprattutto nei momenti più difficili all’inizio della congiura dei Baroni, quando le casse del Regno erano già provate dalle precedenti campagne militari contro i fiorentini e i turchi.
All’apice della potenza, il Carafa ebbe la necessità di manifestare anche visivamente il rango raggiunto e – come era consuetudine per la nobiltà napoletana – decise di far edificare un sontuoso palazzo proprio nel cuore di Napoli: a partire dalla metà degli anni ’50, quindi, iniziò una serie di acquisizioni di vecchie fabbriche che andavano a costituire un’intero isolato nella “Platea Nidi”, che furono riunite in un unico fabbricato, completato nel 1466, e il cui sontuoso portale d’ingresso in stile Ionico ancora oggi si apre sull’attuale Via San Biagio dei Librai. Nel cortile del palazzo trovarono posto le collezioni d’arte antica raccolte nel corso degli anni (l’Aldimari riferisce che il valore di queste collezioni ammontava a 17.000 scudi), ed alcune opere fatte realizzare appositamente (come un ritratto equestre in bronzo di Re Ferrante) o di recente acquisizione come la famosa testa di cavallo in bronzo: esistono varie teorie sull’origine di questa scultura ma secondo la versione più accreditata – che si giova anche della testimonianza del Vasari – questa sarebbe stata realizzata da Donatello, sul modello di una protome in bronzo dorato di epoca ellenistica presente in palazzo Medici-Riccardi di Firenze e ancora conservata colà, per l’imponente monumento equestre di Alfonso I, che avrebbe dovuto trovare posto sull’Arco di Trionfo in Castel Nuovo; come noto il progetto fu abbandonato a seguito della morte sia del sovrano (nel 1458) che di Donatello (nel 1466), ma la testa già scolpita e fusa fu inviata da Lorenzo dei Medici all’amico Carafa; oggi una sua copia in terracotta risalente al 1809 (recentemente restaurata) è ancora visibile nel cortile mentre l’originale si trova al Museo Archeologico.
Il palazzo, di cui trattiamo più estesamente qui, con le sue caratteristiche “all’antica” che lo differenziano dai modelli fiorentini, divenne un esempio architettonico a cui si ispirarono numerosi altri edifici rinascimentali napoletani, tra cui il Palazzo Petrucci.
Trasferitosi nella nuova residenza, il Carafa ne fece anche centro della sua attività amministrativa e diplomatica per conto di Re Ferrante, ospitando in varie occasioni ambascerie e notabili che si recavano alla corte napoletana.
In questi anni divenne anche consigliere di Alfonso II e fu coinvolto a vario titolo – come testimone ma anche nelle delicate fasi degli accordi preliminari – nei matrimoni delle figlie di Ferdinando Eleonora e Beatrice.
Nel Febbraio del 1472 – a causa della circolazione sempre più frequente di monete d’uso più comune (Tornesi e Denari) con una lega a basso tenore d’argento – il Sovrano fece coniare una nuova moneta in lega di rame, così che non risultasse più conveniente falsificarla. Con questa decisione si riducevano i guadagni anche per le casse della Regia Curia, tuttavia si rendeva un grande servigio al popolo che di tale monete faceva largo uso e che vedeva diminuito anno dopo anno il proprio potere d’acquisto. Per sottolineare il valore etico di tale scelta, fu proprio il Conte di Maddaloni a suggerire di apporre sul recto della moneta, intorno all’effige di un cavallo da cui prese il nome il nuovo conio, la legenda “EQUITAS REGNI” realizzando un gioco di parole tra “Aequitas” (equità, equilibrio) e “Equus” (cavallo).
Il Carafa fu anche attivo nelle trattative di pace che posero fine alla guerra contro Firenze, nel 1480, e che videro come protagonista il giovane Lorenzo dei Medici, sceso a Napoli appositamente per ottenere da Re Ferrante il richiamo in patria di Alfonso II che con le sue truppe stava ponendo l’assedio alla città del giglio dopo aver messo a ferro e fuoco il senese e l’aretino.
Vennero poi gli anni della crisi tra Ferdinando e i Baroni: secondo il Porzio, Diomede Carafa – poiché invidiava l’alta posizione sociale e il ruolo a corte raggiunto da quelli che considerava dei parvenus – fu tra coloro che instillarono nel Duca di Calabria il dubbio circa la fedeltà alla corona di Antonello Petrucci e Francesco Coppola, di fatto decretando la fine dei due nobiluomini e la decadenza delle rispettive famiglie.
In realtà non vi sono altri riscontri circa questa ipotesi, mentre è sicuro che il Carafa ebbe dal Re l’incarico di condurre alcune delle trattative con i ribelli, nel tentativo di risolvere pacificamente la questione. Sappiamo bene che in questa occasione il Carafa non seppe (o non volle?) assecondare i desideri del Re: la situazione precipitò con la cattura del principe Federico a Salerno e la successiva rivolta dell’Aquila e le cose poi – dopo la vittoriosa spedizione militare del Duca Alfonso – finirono come noto…
Il Conte è oramai ottantenne, ma a quanto pare ha mantenuto fino all’ultimo un ruolo di primaria importanza nelle vicende del regno. E tuttavia la sua inarrestabile vitalità, oltre che in campo militare, amministrativo, politico e diplomatico ebbe modo di trovare sfogo anche nell’arte e nella letteratura: oltre che il già citato amore per gli oggetti d’arte antica di cui si circondò, fu anche un fertile scrittore.
Di lui si conoscono 8 “memoriali” di contenuto morale e politico, e fra questi il “Memoriale sui doveri del Principe”, dedicato ad Eleonora d’Aragona – andata in sposa al Duca Ercole d’Este – e da lei fatto tradurre in latino (fu poi dato alle stampe nel 1668 col titolo “De regis et boni principis officio”): si tratta di una sorta di manuale del buon governo con consigli molto pratici sull’amministrazione dello Stato e della giustizia, dei commerci, della gestione dell’erario e dell’ordinamento tributario, senza trascurare il benessere dei sudditi.
Le sue fatiche hanno termine in Castel dell’Ovo, dove risiedeva dopo la nomina a “castellano”, il 17 Maggio del 1487 dopo aver ricevuto la visita del suo amico e discepolo Alfonso II, come ci riferisce il Leostello:
“eiusdem lo S. Duca caualcao et anno ad uedere lo Conte de mataluni al castello dell ouo et eo die a xviiij hore mori: et poi lo di sequente li fu facto lo obsequio in sancto Domenico“
Di questo fatale momento ci rimane anche l’importante documentazione rappresentata dal testamento redatto quattro giorni prima di morire, gli esecutori del quale sono addirittura Re Ferrante e il figlio Alfonso. Naturalmente le numerosissime proprietà e tutti i benefici connessi furono trasferiti ai figli e numerose furono anche le donazioni ad organismi religiosi.
Le cronache dell’epoca, in primis quella del Notargiacomo, riferiscono anche dei sontuosi funerali tenutisi in San Domenico Maggiore il 18 di Maggio. Ovviamente vi parteciparono la famiglia reale e i maggiori notabili del regno. Il Conte era vestito di bianco, con la spada al fianco, e calzava degli speroni dorati. Fu sepolto nella Cappella del Crocifisso, che si apre nella navata di destra della Chiesa, in un monumento fatto da lui costruire nel 1470 e attribuibile ad Agnolo del Fiore.
Ancora oggi i visitatori della magnifica basilica nel cuore di Napoli possono ammirare la statua di questo grande napoletano che giace supina sull’urna che ne raccoglie le spoglie (quarto sepolcro della navata destra della Cappella).
Per approfondimenti:
- Francesco de Pietri, “Dell’historia napoletana”, G.D.Montanato – Napoli, 1634
- Biagio Aldimari, “Historia genealogica della famiglia Carafa a cura di A.Bulifon” G.Raillard – Napoli, 1691
- Pompeo Sarnelli, “Guida de’ forestieri: curiosi di vedere, e d’intendere le cose più notabili della regal città di Napoli, e del suo amenissimo distretto. A spese di A.Bulifon”, G.Roselli – Napoli, 1685
- Camillo Porzio “La congiura dei Baroni” – G.Silvestri – Napoli, 1821
- Joampiero Leostello “Effemeridi delle cose fatte per il Duca di Calabria (1484-1491)”, ripubblicato a cura del Principe Gaetano Filangieri – Napoli, 1883
- Tommaso Persico “Diomede Carafa. Uomo di stato e scrittore del secolo XV” – L.Pierro – Napoli, 1899