Angiolillo Arcuccio, Cinque Martiri Francescani del Marocco (1470-1480 circa).
Olio su tavola (240x210cm)
Chiesa di San Lorenzo Maggiore, Napoli
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Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto e Ottone. Questo il nome dei 5 martiri raffigurati in questa tavola, ancora oggi visibile nella Chiesa di S. Lorenzo, e solo recentemente attribuita ad Arcuccio grazie agli studi del prof. Raffaello Causa: infatti, secondo la prima testimonianza risalente a Camillo Tutini (che ne parla nel nel 1664 nel manoscritto “De’ pittori, scultori, architetti, miniatori e recamatori napoletani”, ripubblicato nel 1898 in “Napoli Nobilissima” a cura di B.Croce), la tavola era opera di un fantomatico “Vincenzo detto il Corso”.
Nello sbagliare l’attribuzione, tuttavia, il Tutini ci lascia una interessante giudizio, prezioso alla luce delle nuove conoscenze su Arcuccio: nel definire, correttamente, l’autore della tavola “discepolo del sopradetto Col’Antonio“, infatti, aggiunge che “fu tanto singolare che gareggiò col suo maestro“.
Benché del tutto involontario, pertanto, questo giudizio sull’opera di Angiolillo Arcuccio (molto meno lusinghiero fu il giudizio di Causa su questo particolare dipinto!) è uno dei primi documenti che lo mettono in relazione con l’attività del Maestro Colantonio.
La citazione successiva di questa tavola appartiene al De Dominici il quale, circa un secolo dopo, la attribuisce a “Colantonio del Fiore”, e altre attribuzioni più o meno fantasiose sono seguite nel tempo, fino a quella di Causa: Aspreno Galante, nel 1872, la attribuiva ancora alla “scuola di Colantonio da Fiore”, fornendoci però una indicazione in più in merito alla sua collocazione, che sarebbe stata presso la Cappella di San Ludovico (di proprietà di un ramo della famiglia Del Balzo) fino alla fine del ‘600. In seguito avrebbe cambiato posizione fino ad approdare, agli inizi dell’800, sopra l’ingresso della sagrestia e, in tempi più recenti, nella terza cappella della navata sinistra dove è tuttora visibile.
Non vi è alcuna certezza sul committente e i motivi della sua realizzazione, né sulla data di esecuzione, però è possibile fare qualche ipotesi.
Se è vero che l’attribuzione ad Arcuccio è resa possibile solo grazie a riferimenti stilistici, questi indicherebbero inequivocabilmente una datazione intorno agli anni ’60 del secolo: le figure dei martiri, infatti, fanno riferimento a modelli ben identificabili e già sperimentati – ad esempio – nel San Bernardino facente parte del trittico della “Madonna con Bambino, San Bernardino da Siena e San Sebastiano“, originariamente nella Chiesa della Maddalena di Aversa ed oggi visibile nella cappella dell’adiacente complesso dell’ex Ospedale Psichiatrico (il “Reale Morfotrofio” borbonico)… Basta una rapida occhiata alle tre immagini sottostanti per rendersi conto del prototipo che – sia pure con risultati qualitativi enormemente diversi – è servito da ispirazione sia a Colantonio che al suo discepolo, dopo che il suo autore, Jaime Baço Jacomart (arrivato in città giusto in tempo per la conquista di di Alfonso I, e subito impegnato nella realizzazione del trittico di S.Maria della Pace – oggi perduto – su incarico del nuovo sovrano), aveva imposto il suo stile assecondando e forse anche indirizzando i gusti della corte.
La presenza di altre opere dedicate al francescanesimo (dalla rinomata “Consegna della Regola” di Colantonio al S. Antonio da Padova di Leonardo da Besozzo, fino al San Ludovico di Tolosa che incorona Roberto d’Angiò di Simone Martini) indurrebbe ad inserire anche questa tavola in un ovvio programma di diffusione delle opere e delle storie delle principali figure dell’ordine, particolarmente efficace in considerazione dell’importanza della chiesa – principale tempio francescano del regno – e del luogo centrale e strategico in cui sorgeva: al punto che lo stesso Alfonso la scelse come sede per il suo primo Parlamento nel 1443 e volle che il carro dorato adoperato per il suo ingresso trionfale in città venisse esposto sulla controfacciata della basilica (e lì rimase almeno fino al 1597), quasi a fare da contrappeso all’immagine che celebrava l’incoronazione di Roberto d’Angiò, posta sull’Altare Maggiore!
Tuttavia, mentre l’assenza delle aureole confermerebbe una esecuzione comunque anteriore al 1481, anno in cui i 5 frati (morti nel 1220) furono canonizzati – probabilmente a seguito dell’onda di sdegno sollevata dall’assedio di Otranto e dal seguente eccidio avvenuti nel 1480 – alcune interpretazioni vorrebbero quest’opera composta addirittura nel periodo intercorrente tra la liberazione della città e la canonizzazione.
Secondo questa visione, anche l’iconografia specifica – palesemente tesa ad evidenziare gli elementi del martirio – farebbe parte di un progetto, che oggi chiameremmo “propagandistico”, portato avanti dalla nobiltà napoletana, di cui i Del Balzo (che tra l’altro erano stati tra i finanziatori della costruzione della chiesa) erano tra i principali rappresentanti sin dai tempi dell’insediamento angioino, e che mirava da una parte a mettere in risalto il ruolo giocato dalla famiglia negli eventi che portarono alla riconquista della città martire (Pietro del Balzo aveva partecipato alla campagna guidata da Alfonso II in Puglia) e dall’altra a demonizzare ulteriormente la minaccia costituita dai turchi come sostegno, anche ideologico, alla crociata proclamata da Sisto IV.
A questo punto, per poter ritenere valida questa ipotesi, si deve poter risolvere l’incongruenza stilistica che ne consegue: già dagli anni ’70, infatti, lo stile di Arcuccio si era evoluto, e l’artista era riuscito ad integrare sapientemente la lezione di Van Eyck – sicuramente appresa grazie alla sua frequentazione della corte in Castel Nuovo a partire dal 1467 – con la formazione colantoniana appresa negli anni giovanili, come documenta – ad esempio – la spettacolare cona nella Chiesa della SS Annunziata di S.Agata dei Goti. Ancor più si distanzia il suo stile negli anni ’80, grazie all’influsso di Pagano, Quartararo e alla deflagrante novità costituita dal Polittico di S.Severino, come dimostrano alcune delle opere attribuibili all’ultimo periodo quali il Cristo risorto o la Natività (oggi al Museo di S.Martino).
Una delle possibilità potrebbe essere legata proprio alla contingente necessità di realizzare la tavola in tempi brevissimi, che avrebbe indotto il pittore a trascurare la ricerca stilistica per ottenere il massimo risultato nel minor tempo possibile, limitandosi a trasporre e a realizzare “in serie” qualcosa di già sperimentato in precedenza. A riprova di questa ipotesi ci sarebbe anche l’inconsueta rappresentazione del pavimento nel rendere il quale – pur mantenendosi nei canoni della “standardizzazione” iberico-valenciana (vedi i pavimenti “inerpicati” già in Jacomart e Colantonio, ma anche in Reixach) – rinuncia totalmente alla definizione dei dettagli delle mattonelle.
Un altro indizio a conforto dell’ipotesi che la tavola sia più tarda di quanto riportato da alcuni autori potrebbe derivare dal confronto tra i sai dei martiri e quelli delle due figure di S.Domenico e S.Antonio facenti parti rispettivamente del Polittico della “Vergine in trono col Bambino” nella Cappella San Bonito (in origine Cappella Petrucci) di San Domenico Maggiore – la cui datazione tra il ’65 e il ’75 è messa in relazione con l’acquisizione della cappella da parte della famiglia Petrucci – e del Polittico con la “Vergine delle Grazie” di S.Maria la Nova, dei primi anni ’80. Come si nota nelle figure qui a lato, nel primo la parte terminale del saio presenta un segno più realistico con un andamento delle pieghe più morbido – e notevoli analogie con il saio del S. Francesco di Colantonio – rispetto al secondo, in cui il profilo è più simile a quello già realizzato per i martiri – sul primitivo modello del San Bernardino – e le pieghe sono rese con maggiore rigidità: a dimostrazione che il disegno dei martiri non fu necessariamente condizionato dalle capacità tecniche acquisite da Arcuccio tra gli anni ’60 e ’70, ma possibilmente fu il risultato di una scelta stilistica “di comodo” (in relazione alla strettezza dei tempi di realizzazione) che l’autore poté tranquillamente decidere di adottare in un’opera realizzata tra il 1480 e il 1481.
Per approfondimenti:
- Raffaello Causa, “Angiolillo Arcuccio”, in Proporzioni – N.3 (Firenze, 1950)
- C. Chabloz, “Les Cinque Martiri francescani del Marocco à San Lorenzo Maggiore de Naples: Tentative de Décryptage d’un Choix Iconographique Inhabituel”, Zeitschrift für Kunstgeschichte – 71. Bd., H. 3 (2008), pp. 321-334
- Mariarosaria Ruggiero, “Angelo Arcuccio. Pittura e miniatura a Napoli nel ‘400”, Di Mauro Editore – Napoli, 2014
- Opere di Angiolillo Arcuccio nel catalogo della Fondazione Zeri